La facciata incompiuta di San Petronio
(20 settembre 2022) La recente proiezione la “Piazza si accende” (dal 15 al 19 settembre 2022), grazie alla quale è stato possibile conoscere alcuni dei “disegni nascosti di una facciata incompiuta”, ha fatto tornare alla ribalta il secolare dubbio dei bolognesi: ma come avrebbe dovuto essere – davvero – la facciata di San Petronio?
La facciata della Basilica di San Petronio a Bologna è incompiuta, ma non è chiaro quale fosse il progetto iniziale di Antonio Di Vincenzo (l’architetto che la progettò a partire dal 1389), dato che non esistono disegni o modelli originali. Si dà per scontato che i mattoni che oggi coprono la parte alta della facciata servissero come base dell’intonaco e della copertura mai realizzata, ma molto probabilmente questa copertura non doveva essere marmorea, ma di cotto e mattoni ornati e levigati, come del resto sono le fiancate della Basilica. La prova è che il muro frontale di San Petronio era in origine spesso solo 90 centimetri, inadeguato a sostenere il peso di lastre di marmo tra i 18 e i 24 centimetri. Non a caso gli architetti che ebbero l’incarico di completare la facciata, nel 1510 fecero inspessire il muro di 60 centimetri (ora è di un metro e mezzo), spostando come detto in avanti anche la Porta magna e le strutture delle due porte laterali.
Come completare la facciata fu per secoli il dilemma della Fabbriceria di San Petronio e dei bolognesi. Nel ‘500 vennero coinvolti i più importanti architetti italiani. Nel 1522 Baldassarre Peruzzi progettò alcune soluzioni gotico-rinascimentali, proponendo tra l’altro la trasformazione del pilone sinistro in campanile.
Nel 1538 si decise inizialmente di seguire il disegno del 1518 di Domenico Aimo da Varignana, che prevedeva un rivestimento marmoreo in stile rinascimentale toscano (con riquadri di marmo) sul basamento su fondo rosso di Antonio Di Vincenzo, con qualche concessione tardo gotica come le nicchie tra le porte. La discordanza stilistica e le periodiche mancanze di finanziamenti, fecero sì che anche questa realizzazione restasse incompiuta, benché sia quella che vediamo oggigiorno e che condizionò i successivi progetti.
Nel 1545 il Vignola (Jacopo Barozzi) presentò una soluzione con ampio uso di colonne classiche, nicchie, riquadri rinascimentali e soluzioni decorative gotiche flamboyant. Dello stesso anno un progetto attribuito a Giacomo Ranuzzi, che per primo propose una soluzione che rifiutava l’idea gotica, scegliendo il “tutto nuovo”. Un anno più tardi Giulio Romano tornò al gotico, ma immaginando l’intera facciata come un’immensa tavolozza dove pittori e scultori avrebbero dovuto esercitare la propria arte.
Nel 1571 anche Domenico Tibaldi propose il completamento della facciata in stile gotico, con cinque cuspidi, ma aggiungendo tre singolari rosoni con timpani e improbabili coronamenti.
Del 1578 i disegni di Andrea Palladio, con soluzioni che prevedevano colonne e pilastri a tutta altezza innanzi alla facciata (ordine gigante), certamente monumentali ma avulse dal contesto architettonico della piazza. Nel 1580 il progetto del Terribilia – all’anagrafe Francesco Marani (stesso soprannome del più celebre zio Antonio Morandi) -, chiuse senza un nulla di fatto le proposte cinquecentesche.
Nel secolo successivo un solo progetto degno di nota, quello di Girolamo Rainaldi – architetto geniale delle volte della navata maggiore – che nel 1626 disegnò un incredibile miscuglio di gotico e barocco.
Del 1752 l’improponibile progetto dell’architetto del santuario di San Luca, Carlo Francesco Dotti, ispirato alle solennità del barocco romano.
Un vero e proprio revival gotico ottocentesco il progetto del 1847 di Giuseppe Modonesi, che ebbe come base l’incompiuta facciata di Giuseppe Aimo da Varignana. Con il medesimo punto di partenza anche la soluzione proposta da Enrico Brunetti Rodati nel 1858.
Grazie al nuovo fermento ottocentesco, nel 1881 venne costituito il “Comitato esecutivo dell’Opera della Facciata di San Petronio”, e nel 1887 varò un concorso per il completamento della stessa, per la verità osteggiato da molti personaggi della cultura del tempo, come il poeta Giosuè Carducci, che più volte espresse la sua avversione ad alterare il volto della Basilica.
I due progetti che ricevettero “premi d’incoraggiamento” furono quelli di Giuseppe Ceri (ispirato dalla facciata della chiesa di Santa Croce a Firenze) ed Edoardo Collamarini, in una profusione di nicchie e statue (ben 78).
Del 1933 l’ultimo tentativo di terminare la facciata, voluto dal regime fascista, che lasciava ai progettisti l’unico vincolo di mantenere il basamento originale di Di Vincenzo e le porte. Alcune bizzarre soluzioni, che andavano dal trasformare la facciata in un’immensa vetrata all’intonacare la parte in mattoni, fino all’inserimento di scale esterne – giudicate “disarmoniche” -, non ebbero fortunatamente seguito.
Per la cronaca, le rappresentazioni grafiche dei progetti proiettati durante l’evento la “Piazza si accende”, sono relativi a: Anonimo 1580, Anonimo 1933, Anonimo XVI secolo, Giuseppe Ceri, Mario Cucinella, Carlo Francesco Dotti, Andrea Palladio/Francesco Terribilia, Baldassarre Peruzzi, Girolamo Rainaldi, Giulio Romano, Alfonso Rubbiani, Mauro Tesi, Jacopo Barozzi da Vignola.